La stampa d’arte originale

La stampa d’arte originale
E’ sempre più frequente, purtroppo, in questi ultimi anni, assistere ad un vero massacro della grafica d’autore.
Artisti, galleristi, mercanti vari, spacciano per stampe d’arte delle semplici stampe off-set, o realizzate col computer o plotter e poi ritoccate, vendute a due soldi persino nei mercatini.
Stampe che non valgono neanche la carta che viene utilizzata.
Per una stampa del genere si utilizzano dei retini fotografici, che con la sovrapposizione dei quattro colori base, si ottengono tutti gli altri colori; la cosiddetta quadricromia, che si può stampare in off-set (che tendono a chiamare litografia), in serigrafia, e persino in incisione con lo stesso sistema che si usa per fare i clichè tipografici.
Per una stampa così ottenuta bastano alcune ore di lavoro ed il gioco è fatto; si possono stampare migliaia di copie.
E’ lo stesso procedimento che si usa per fare calendari, poster e cataloghi.
Per realizzare una grafica d’autore originale, invece, il procedimento è totalmente manuale.
La scomposizione dei colori si fa a mano e così la stampa, su appositi torchi manuali e, a seconda di cosa si vuole ottenere, occorrono molti colori e molti giorni di lavoro in simbiosi, il maestro stampatore e l’artista autore del soggetto.
Un lavoro lungo e laborioso, per cui solo la passione ripaga dalla fatica e del tempo trascorso dietro le varie prove di colore, la preparazione delle matrici, la stampa a mano, una ad una, sino al risultato finale, un’opera d’Arte.

Questo estrapolato dall’Enciclopedia Treccani , se avete la pazienza di leggere, fornisce un esauriente spiegazione:

Grafica d’Arte
Si intende per grafica d’arte una produzione artistica a mezzo di stampa, riprodotta in più copie firmate e numerate dall’autore che ne ha ideato il soggetto ed elaborato la matrice.
Pur essendo sempre esistita una produzione grafica di ordine artistico che fosse ”d’invenzione” (l’artista è insieme ideatore ed esecutore del soggetto grafico) o ”di traduzione” (l’artista stampatore traduce in linguaggio grafico il soggetto di un altro), la definizione di “grafica d’arte”, nel senso odierno si è venuta formando nel 19° secolo sotto la spinta delle condizioni create dall’impiego diffuso di nuove tecniche di produzione grafica che si aggiungevano alla classica incisione: prima di tutto la litografia (inizio del secolo 19°), a cui, più tardi si è aggiunta la serigrafia (anni Trenta del 20° secolo) che, permettendo la resa di valori cromatico-tonali, maggiore spontaneità gestuale nella lavorazione delle matrici e tirature a qualità più uniforme, ampliò i campi di utilizzazione e aprì la via al gusto di una nuova grafica, simile per leggerezza e spontaneità al disegno, ma anche colorata e decorativa, di carattere pittorico.

Infine la fotoincisione che, consentendo la riproduzione automatica senza intervento dell’autore sulla matrice, creò una seria anomalia nel sistema tradizionale di produzione artistica venendone a condizionare la valutazione di originalità.
Il termine della denizione di grafica d’arte, è accettabile e giustificata se riferito alle tecniche che prevedono l’elaborazione della matrice da parte dell’artista, ma non può esserlo per le tecniche meccanizzate e si rendono quindi necessarie delle precisazioni per stabilirne i limiti e il signicato nei vari casi.
Bisogna chiarire anzitutto che la produzione grafica con processi manuali comporta sempre un’operazione linguistica.
All’incisore, al litografo o al serigrafo, sia ”d’invenzione” che ”di traduzione”, si richiede non solo un intervento tecnico ma una trasposizione di linguaggio, da quello globale cromaticotonale di una qualunque immagine esistente o anche solo pensata, a quello grafico, specifico della tecnica prescelta.

Non si tratta mai, dunque, di una vera e propria riproduzione, ma di una traduzione:
un’autentica creazione linguistica equivalente all’opera originale (anche solo immaginata se lo stampatore è ”d’invenzione”), della quale non viene resa, nemmeno nelle intenzioni, un’imitazione, ma un’interpretazione critica originale.

L’artista grafico ”d’invenzione”, come lo sono oggi per definizione tacitamente convenuta tutti gli artisti che producono grafica d’arte, è dal punto di vista linguistico traduttore di se stesso, cioè delle sue stesse opere, esistenti o immaginate, da tradurre e formare in linguaggio grafico.

Nel caso classico dell’incisione calcografica di traduzione, che qui assumiamo come esemplare perché
riassuntivo di ogni caso particolare, le persone coinvolte nella produzione di un’opera grafica possono essere: una sola quando l’artista stampatore è ”d’invenzione” (è l’autore del soggetto), o diverse quando i compiti sono ripartiti.
In generale vi è maggior suddivisione dei ruoli in due o tre persone: l’autore del soggetto, il disegnatore (traduttore del soggetto pittorico in disegno) e lo stampatore (traduttore del soggetto originale), molto più spesso il disegnatore e lo stampatore è lo stesso.
Sono state formulate e redatte norme anche ufficialmente da varie associazioni artistiche nazionali e internazionali (3° Congresso dell’Associazione Internazionale delle Arti Plastiche, Vienna 1960; Comité International de la Gravure, Parigi 1964; Print Council of America, New York 1961; convegno organizzato dalla Biennale di Venezia, 1991, ecc.) con l’intento primario di regolare un mercato inquinato dalla possibilità tecnica di contraffazione dell’originalità, ma anche, da parte degli artisti e dei critici, di dare senso univoco e normativo a metodi di giudizio resi incerti dai nuovi processi riproduttivi e dalla conseguente propensione del pubblico a riconoscere valore artistico e mercantile a opere grafiche realizzate al di fuori dei canoni dell’originalità intesa come garanzia di autenticità artistica.
In sintesi sono escluse dalla denominazione di “stampe d’arte” o “grafiche d’arte” originali le stampe o riproduzione effettuate con qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico.
Il valore artistico di un’opera grafica non è, dunque dipendente dalla sua catalogazione come grafica d’ arte; questa definizione è data dalla valutazione artistica irriducibile, a parametri univoci, e si fonda sulla qualifica di originalità.
La firma dell’artista vuole certificare dunque un’originalità che è, in conseguenza, più giustificato intendere come attestato di autenticità: che quella copia è stata stampata da matrice definibile come originale ed è conforme alla prova definitiva d’autore.
La numerazione vuol certicare e garantire la quantità di copie autentiche tirate e messe in commercio; nella sua sequenza vuol documentare la progressione di eventuali piccole varianti di stampa.
La numerazione è quindi assolutamente insignicante, dal punto di vista artistico, per tirature meccaniche, uniformi e potenzialmente illimitate, mentre ha senso per tecniche che producono effettive e sensibili varianti qualitative col procedere della tiratura, sia per degrado della matrice (per es. la puntasecca non acciaiata) che per incontrollabilità dell’uniformità di stampa (per es. la stampa a più colori col metodo delle vischiosità variabili degli inchiostri per es. la serigrafia). Nell’economia della produzione graca moderna la numerazione e la firma hanno dunque senso artistico solo per le tecniche manuali.

Quando vi propinano una stampa d’arte, ESIGETE la certicazione che la stessa non sia il
frutto di una fotocomposizione, di una stampa al computer ecc.. ma che sia realizzata
secondo i canoni della graca d’autore di cui sopra, e se avete dei dubbi chiedete ad un
esperto.